E ora qualcosa di completamente diverso: l’algospeak

Il linguaggio è qualcosa di vivo. Anche se nella quotidianità non ci pensiamo molto, le lingue cambiano insieme a noi ogni giorno. Fondamentalmente la lingua è uno strumento volto a facilitare la comunicazione e, con il cambiamento della vita dell’uomo dalle prime società agricole alle città con economie complesse all’era digitale con avanzamenti tecnologici sempre più rapidi, anche le lingue hanno dovuto evolversi.

Per trovare prove di questo fatto basta dare un’occhiata ai testi scritti in inglese antico. Tecnicamente è sempre inglese, ma la lingua è cambiata in modo così radicale nel corso dei secoli che è impossibile leggerlo senza un’apposita formazione o la traduzione in inglese odierno.

Anche su scala più ridotta l’inglese è in continua evoluzione e si modifica per adattarsi alle nostre esigenze e aiutarci a comunicare con gli altri con maggior efficacia. Vengono costantemente inventate nuove parole, mentre altre assumono nuovi significati per adattarsi meglio alla nostra società sempre più tecnologica. Se utilizzate i social network, è molto probabile che vi siate imbattuti in uno dei principali esempi di cambiamento linguistico in corso senza nemmeno esservene accorti: l’algospeak.

Che cos’è l’algospeak?

Algospeak è una parola così recente che, se la si scrive su Microsoft Word, il computer la sottolinea in rosso ritenendo che si tratti di un errore. Deriva dal termine algoritmo, quella strana cosa di cui si preoccupano i content creator sui social network. L’algoritmo decide quali post promuovere e mostrare agli utenti e quali bloccare, il tutto utilizzando un complesso set di regole e criteri. Parte di tali criteri riguarda lo screening dei post che contengono parole o altri contenuti sensibili e per farlo le piattaforme social network utilizzano l’IA per segnalare e censurare alcuni termini che si ritengono collegati a contenuti sensibili.

Il termine algospeak indica le modifiche verbali che i content creator utilizzano per aggirare i tentativi di censura. Ad esempio, parole come “morto” o “ucciso” vengono spesso segnalate dalle IA dei social network in quanto associate a violenza. Per evitarlo i content creator hanno iniziato a usare termini come “non animato” (unalive) per trasmettere lo stesso significato senza che i contenuti vengano censurati. Dopo il capovolgimento della sentenza nel caso Roe contro Wade, la gente su internet ha iniziato a fare riferimento all’aborto come “camping” per evitare censure o ripercussioni legali.

Anche l’inizio della pandemia ha dato origine a nuovi termini in algospeak: i content creator su TikTok e altre piattaforme simili hanno iniziato a farvi riferimento come a “Panini” o “Panda Express” per evitare di essere presi di mira dalle IA che abbassavano in classifica i video che menzionavano la pandemia nel tentativo di limitare la diffusione di informazioni errate.

L’algospeak non ha delle vere e proprie regole: talvolta le parole scelte in sostituzione hanno un’affinità fonetica o tematica con la parola originale, come nel caso di “panini” e “pandemia,” ma in altri casi, come in quello delle prostitute che si riferiscono a se stesse come “contabili”, il collegamento è meno ovvio. Per certi versi può ricordare il gergo furbesco o il dialetto Cockney in rima. Tecnicamente si tratta sempre della stessa lingua, ma con un vocabolario modificato che aiuta a nascondere il vero significato a orecchie indiscrete o a chi non fa parte del gruppo.

E allora… qual è il punto?

Al di là di costituire un case study affascinante per gli appassionati di linguistica, l’esistenza dell’algospeak evidenzia problematiche legate alla censura e dimostra lo sforzo collettivo per cercare di capire come bilanciare libertà e sicurezza online ora che internet sta entrando a far parte sempre più profondamente della vita quotidiana.

Da un lato, alcune delle censure praticate dalle IA sui social network possono evitare che gli utenti più vulnerabili o impressionabili, come i bambini, siano esposti a contenuti potenzialmente disturbanti. D’altro canto, la censura rende più difficile discutere di questioni importanti relative ad alcuni argomenti sensibili, a causa del ban imposto su alcune parole.

Il fatto stesso che si scrivano articoli sull’argomento significa in primo luogo che gli addetti delle piattaforme social si stiano già occupando di trovare un modo per reagire all’algospeak ed è possibile che “non animato” e altre parole vengano aggiunte alle blacklist, con l’unico risultato di dar vita a nuove soluzioni alternative. Una cosa è chiara: non ci sarà una soluzione semplice a un problema così sfaccettato.

Si tratta di una questione estremamente complessa da risolvere e non fingerò di avere delle risposte, ma è comunque affascinante osservare il modo in cui, come società, stiamo cercando di capire come sarà la vita nella frontiera digitale e dove porre alcuni confini. Solo il tempo ci dirà che tipo di cambiamenti poterà tutto questo al nostro modo di parlare. E chissà, forse un giorno Trusted Translations inizierà a offrire i propri eccellenti servizi di traduzione anche in e dall’algospeak!

Foto di Дмитрий Хрусталев-Григорьев su Unsplash